Affinità tra opere d’arte, nel segno della Blackness: tre mostre da scoprire a Parigi

Da Faith Ringgold alle maschere tradizionali Songye, passando per i capelli di Laetitia Ky: a Parigi, tre mostre ripercorrono le tappe della cultura blackness. Ne parliamo con il curatore Mo Laudi

Faith Ringgold, Picasso’s Studio, The French Collection Part I, 1991

Libere e svincolate dai codici espositivi, le creazioni di tutti i tempi oltrepassano gli spazi fisici per tessere insieme ricchi e trasparenti dialoghi. È delineato qui un percorso nella creazione contemporanea tra attivismo politico, autoritratti, acconciature, maschere, fotografie, sculture e pitture che, formalmente distanti loro, costruiscono altresì universi intriganti e parlanti. Dove? A Parigi, che ospita una bella mostra dedicata a Faith Ringgold (New York, 1930), una personale di Laetitia Ky (Abidjan, 1996), “Globalisto. Fragments of Community”, una collettiva a cura di Ntshepe Tsekere Bopape (Sudafrica, 1980) in arte Mo Laudi. Ma non solo.

Il primo fil rouge è quello dell’autoritratto, un genere artistico sviluppato nella pittura sin dall’epoca rinascimentale che ritroviamo oggi più spesso nella fotografia contemporanea. Partendo dalla semplice descrizione dei propri caratteri fisici e da pose che palesano uno status quo, l’artista rivendica un posto nella società affermando al contempo una scelta stilistica. Lo ritroviamo in “Faith Ringgold. Black is beautiful” presso il Musée national Picasso-Paris, fino al 2 luglio, un percorso dedicato all’attivista africana-americana Faith Ringgold che principia proprio con Early Works #25: Self Portrait (1965, olio su tela, Brooklyn Museum).

Faith Ringgold, Early Works #25 Self Portrait

Questo autoritratto – sulla scia della nota serie American People (1963-65) intorno al tema del razzismo quotidiano – è un’affermazione di sé come un atto di forza e di protesta. L’artista qui domina la tela, le braccia conserte, con lo sguardo rivolto altrove, riflessivo e profondo, si fa portavoce di valori sociali dando al contempo piena visibilità alla donna nera. Ricordiamo che Ringgold ha militato per i diritti civili, nel movimento Black Power e faceva parte del Black Arts Movement, era dunque importante per lei rappresentarsi attraverso l’arte – anche se controcorrente poiché l’astrazione era lo stile di pittura più popolare di quel periodo. Sono anni importanti che lei ricorda così: «Non riesco a pensare a un periodo più liberatorio nella mia vita degli anni ‘60. Fu allora che imparai a portare i capelli al naturale! Niente più pettini caldi tra i capelli. Black Is Beautiful, Black Pride e Black Power in un solo gesto».

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Faith Ringgold, American People Series 20 Die, 1967

Autoritratto e capelli anche in Who’s that woman?, una personale della fotografa, attrice e attivista ivoriana Laetitia Ky, in mostra presso la nuova sede parigina della Lis10 Gallery di Arezzo, fino al 24 giugno. L’artista si trasforma qui secondo la tradizionale arte della performance in una scultura vivente su uno sfondo minimalista, dove i capelli diventano uno strumento di comunicazione possente. Simbolo della sua identità e della black beauty, Laetitia Ky si ispira da foto d’archivio di acconciature di donne africane per realizzarle poi con l’ausilio del fango, denunciando attraverso parole, simboli e immagini le discriminazioni di genere. Ricordiamo che l’artista ha rappresentato il suo paese alla 59ma Biennale d’Arte di Venezia ed è attualmente presente nella collettiva “Des cheveux et de poils”, un’esposizione imperdibile al Musée des Arts Décoratifs di Parigi, fino al 17 settembre.

Who’s that woman, Laetitia Ky, Lis10 Gallery, Parigi. Foto: Livia De Leoni

Pettinatura e ritratto anche con Hélène Jayet (1977, Montpellier), artista visiva e fotografa, il cui lavoro si piazza tra intimità, storia e memoria, ad oggi presente in “Globalisto, Fragments of Community”. Si tratta di una collettiva che richiama la filosofia Globalisto, vicina agli ideali umanistici dell’Ubuntu basati sul rispetto e la condivisione. La mostra è visitabile fino al 17 giugno presso lo spazio parigino 31 Project, dedicato alla scena artistica africana, dove Jayet presenta un lavoro sull’identità africana, parte della serie fotografica di 180 ritratti Colored Only – Chin Up!, cioè a testa alta. Esposti già in diversi paesi, questi scatti ritraggono persone afro-discendenti con acconciature diverse e in posa rigorosamente chin-up, appunto, segno orgoglioso di appartenenza e di resistenza.

La maschera è un altro filo conduttore da esplorare. Imprescindibile dalla cultura africana e meno utilizzata oggi a causa dell’urbanizzazione e di influenze esterne, questa rimanda alla creatività come alla ritualità, incarnando un legame con antenati mitici. La ritroviamo nel lavoro di Obi Okigbo (1964, Ibadan) o in quello di Kendell Geers (1968, Johannesburg) di cui vediamo Masking Tradition DXII (2017) in dialogo con Songye mask-maker in “Globalisto. Fragments of Community”.

Per saperne di più ne abbiamo parlato con Mo Laudi, curatore della mostra, artista multidisciplinare, pioniere dell’afro-elettro e DJ. Continua a leggere su Exibart

Author: livia de leoni

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