« Nel nome del padre », a Colmar, raccoglie cinquanta dipinti monumentali e una dozzina di disegni e acquerelli che esplorano quattro decenni di carriera di Yan Pei-Ming. Intervista al grande pittore cinese.
Neri, bianchi, grigi, o rossi, decine di ampi monocromi restituiscono ritratti ravvicinati, autoritratti e teschi, presentati nella bella mostra “Nel nome del padre” di Yan Pei-Ming (1960, Shanghai), al museo Unterlinden di Colmar fino all’11 ottobre. Curata da Frédérique Goerig-Hergott, responsabile delle collezioni d’arte moderna e contemporanea al museo alsaziano, l’esposizione raccoglie cinquanta dipinti monumentali e una dozzina di disegni e acquerelli che esplorano quattro decenni di carriera di Yan Pei-Ming. In dialogo con la celebre Pala di Issenheim – capolavoro di Matthias Grünewald (1475–1528), e parte delle collezioni del museo alsaziano – è qui presentata una lettura inedita dell’opera dell’artista franco-cinese che esplora i temi della filiazione, del sacro e del sacrificio, trattati anche dall’artista rinascimentale tedesco. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, e nonostante l’artista sia cresciuto in un tempio buddista desacralizzato, questa mostra non ha alcun nesso diretto con la religione, e come dichiara lui stesso: “Mi piace questa ambiguità, questo passaggio laterale”.
“L’esposizione prende ispirazione dal trittico Nom d’un chien ! Un jour parfait (2012), qui presentato, è il primo autoritratto dipinto a figura intera, che è “come la manifestazione spettacolare di un recupero, di un’affermazione di sé. Questa nuova rappresentazione cristica e monumentale risuona (…) come un’eco dei pannelli dipinti della Pala di Isenheim (1512-1516), capolavoro della storia dell’arte”, Dichiara Frédérique Goerig-Hergott. Dislocato lungo sei sezioni, il percorso principia con i ritratti di Mao Tse-tung, che hanno fatto conoscere l’artista prima in Francia e poi nel mondo, per terminare con Pandémie (2020), un inedito. Creato durante il secondo confinamento per il museo Unterlinden, e in dialogo con i pannelli della Crocifissione di Grünewald, Pandémie esplora temi come la sopravvivenza e la morte. Si tratta di un dittico, un olio su tela di 400 su 560 cm, che vede un paesaggio apocalittico con una città immersa nel buio sullo sfondo, mentre in primo piano delle figure con le teste chine e in tuta protettiva vengono restituite da pennellate bianche. È la risposta di Yan Pei Ming alla tragedia planetaria causata dal Covid-19, al dramma ingestibile e alle morti senza risposte. L’esposizione presenta, oltre ai ritratti di Mao, quelli del padre, per una riflessione sul modello politico-familiare della figura paterna dell’artista. Ritratta anche la madre come una serie di Buddha, a cui seguono i paesaggi che vanno da Shanghai alla Roma antica, e via dicendo. Arrivato nel 1980 in Francia, Yan Pei-Ming studia alle Belle Arti di Digione, città dove oggi vive e lavora. Nel 2003 è alla Biennale di Venezia, nel 2016 a Villa Medici e al museo del Belvedere di Vienna. Parigi lo accoglie al Petit Palais – dove le sue opere dialogano con quelle di Courbet – e al Musée d’Orsay, mentre il Louvre ne acquista alcuni lavori. Riservato e solerte, Yan Pei Ming ci parla dei suoi progetti nonché delle sue paure nell’intervista che segue. Continua a leggere su Exibart