Elmgreen & Dragset e le variabili umane, al Centre Pompidou di Metz

Il Centre Pompidou di Metz ospita una grande mostra del duo Elmgreen & Dragset, un labirinto travolgente, paradossale e irriverente, per entrare nel nonsenso della vita quotidiana.

Elmgreen & Dragset approdano al Centre Pompidou di Metz con “Bonne Chance”, la prima esposizione personale a loro dedicata in un’istituzione francese con sculture, fotografie, audio, installazioni e performance. Curata da Chiara Parisi, direttrice del museo, questa magnifica mostra monografica occupa la grande navata, il forum e i tetti a terrazza delle tre gallerie.

Aperto nel 2010 e noto per il tetto iconico tutto curve e controcurve, questo edificio museale è stato progettato da Shigeru BanJean de Gastines e Philip Gumuchdjian. Michael Elmgreen e Ingar Dragset, che collaborano dal 1995, giocano abilmente con l’architettura del museo restituendo al suo interno paesaggi urbani, spazi lavorativi e ricreativi. Insomma, la società occidentale tra fragilità e ritualità quotidiane con luoghi deputati come un set televisivo o una sala di monitoraggio, e un arredo urbano restituito da corrimani sfavillanti. Looking Back (fotografia, 2022), un enorme occhio, a mo’ di spioncino, rivolge lo sguardo fuori dal museo e sul passante che a sua volta diventa oggetto di interesse.

I giardini adiacenti accolgono una breve performance con due attori per un omaggio al film Querelle di Rainer Werner Fassbinder, ispirato a Querelle de Brest di Jean Genet. Due installazioni ricche di contenuto ma che fanno pensare anche al voyeur social che sbircia costantemente post e storie altrui spinto da banali curiosità. Non prosaico, l’atto di osservare è un fil rouge di questo itinerario artistico che sollecita il ruolo attivo dello spettatore lasciandolo libero di creare la propria narrazione, e per dirla con Italo Calvino qui “L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose” (Le città invisibili, 1972).

Il forum accoglie una Mercedes-Benz con a bordo due sculture realistiche di uomini abbracciati e circondati da opere d’arte impacchettate ossia The Outsiders (2020). L’auto è parcheggiata davanti The One & The Many (2010), un edificio ordinario di tre piani e di circa 10 metri di altezza, con un atrio inaccessibile e le finestre tappate da pannelli immobiliari o da vecchi giornali. Una palazzina-scultura che riserva delle sorprese a chi sale al terzo livello del museo poiché sul tetto sta accadendo qualcosa. Resti di un barbecue, una vecchia bici e un enorme graffito narrano stralci di vita quotidiana comune a tanti di noi. L’ingresso della sala espositiva vede la scultura realistica di un bambino che scrive “I” sul fiato della vetrata, mentre alzando lo sguardo si vede un ragazzo che si regge per mano a una corda e con l’altra tiene un’asta. “Bonne chance” – buona fortuna -, viene da pensare. Continua a leggere su Exibart

Author: livia de leoni

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